Diritto e Società

 

Rivista trimestrale fondata nel 1973

da Giovanni Cassandro, Vezio Crisafulli e Aldo M. Sandulli

 

III serie – 1/2012

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Antonio D’atena
Francesco Belvisi
Paolo Veronesi
Daniele Chinni
Fabio Merusi
Paolo Carnevale
Giampietro Ferri
Giovanni Maria Flick


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sommario

editoriale

Antonio D’Atena …III

saggi

Francesco Belvisi, I diritti fondamentali nella società multiculturale ….1
Paolo Veronesi, Diritti costituzionali e multiculturalismo ….19
Daniele Chinni, La decretazione d’urgenza tra abusi e controlli. Qualche considerazione quindici anni dopo la sent. n. 360 del 1996 della Corte costituzionale ….55
Fabio Merusi, La disciplina pubblica delle attività economiche nei 150 anni dell’Unità d’Italia ….93

osservatorio

Paolo Carnevale, Abrogare il già abrogato ovvero l’abrogazione al quadrato. Considerazioni sul d.lgs. n. 212 del 2010 di abrogazione espressa cumulativa di leggi statali ….119
Giampietro Ferri, La responsabilità civile dei magistrati nell’ordinamento italiano e le prospettive di riforma ….151

attualità

Giovanni Maria Flick, I diritti dei detenuti nella giurisprudenza costituzionale ….187


Abstract

Francesco Belvisi, I diritti fondamentali nella società multiculturale.

La cultura è un elemento costitutivo dell’identità individuale, che è tutelata dalla nostra Costituzione. La società multiculturale non dispone più di un patrimonio di valori comuni, condivisi dalla generalità dei suoi membri. Perciò, l’integrazione sociale deve essere ricercata non nell’omogeneità, ma nella diversità dei comportamenti considerati leciti. Pertanto, i diritti fondamentali possono svolgere la loro funzione integrativa se vengono interpretati ed applicati sullo sfondo di princìpi costituzionali intesi, non come valori assoluti, ma in un senso pragmatico. Questo significa che essi devono essere applicati a partire dai princìpi di tolleranza e non discriminazione, mirando, però, a correggere in senso costituzionale le istituzioni sociali estranee alla nostra cultura costituzionale. L’argomento viene esemplificato sulla base del matrimonio islamico poligamico. 

Fundamental Rights in a Multicultural Society

Culture is an essential element of individual identity, which is protected by the Italian Constitution. The multicultural society no longer has a common set of values generally accepted by its members. Therefore, social integration should be looked for not so much in homogeneous behaviours, but in different and nonetheless legal behaviours. As a consequence, fundamental rights may perform their social integrative function if they are going to be interpreted and applied in the context of constitutional principles if they are understood in a pragmatic sense and not as absolute values. All this means that they will be applied starting from the principles of toleration and no discrimination, but having in mind to correct in a constitutional sense the social institutions foreign to our constitutional culture. The present argument is exemplified through Islamic polygamous marriage.

Paolo Veronesi, Diritti costituzionali e multiculturalismo

Dopo aver analizzato la molteplicità di significati astrattamente attribuibili al concetto di multiculturalismo, il saggio pone in evidenza le necessità di perseguire, nel quadro di uno Stato democratico che pienamente riconosca i principi di uguaglianza, personalista e pluralista, la pacifica convivenza tra appartenenti a culture molto diverse e spesso in conflitto. In questa prospettiva, una volta individuato il nucleo essenziale dei principi costitutivi della cosiddetta “Costituzione materiale”, viene passata in rassegna una cospicua serie di fenomeni e problemi riconducibili alla nuova esperienza multiculturale delle società occidentali contemporanee. Per ciascuno di essi, si sottolinea quindi quale sua versione e quale sua peculiare fisionomia si collochi pur sempre all’interno del costituzionalmente consentito e quanto, invece, evidentemente valichi tale confine. Tra i problemi affrontati si segnalano, in particolare, quelli della poligamia, delle mutilazioni genitali, del velo, della circoncisione maschile, dei reati aventi matrice culturale.

Constitutional Rights and Multiculturalism

Starting from a discussion of the various meanings referable to the concept of multiculturalism, the essay argues that the need to pursue a peaceful coexistence between members of very different and often conflicting cultures can be grounded in the framework of a democratic State that recognizes equality, personalism and pluralism as the highest principles of its legal system. In this way, a variety of phenomena and problems related to multiculturalism in the contemporary western societies is evaluated in light of the core of the Italian Constitution in a material sense. In particular, the focus is on which version and peculiar shape of each of them is allowed by the constitution, and which, on the other hand, clearly exceeds this boundary. The essay discusses, among others, problems gathered under the heading of polygamy, genital mutilation, forced veiling, male circumcision, culturally motivated crimes.

Daniele Chinni, La decretazione d’urgenza tra abusi e controlli.

Qualche considerazione quindici anni dopo la sent. n. 360 del 1996 della Corte costituzionale Il saggio muove dalla constatazione dell’importanza che la sentenza n. 360 del 1996 della Corte costituzionale ha avuto per la decretazione d’urgenza. Tuttavia, quella decisione, pur dichiarando l’incostituzionalità di un fenomeno particolarmente grave quale la reiterazione, non ha posto fine all’abuso del decreto-legge, fonte cui i Governi continuano a ricorrere ordinariamente. Anzi, l’aver restituito perentorietà al termine di sessanta giorni per la conversione in legge ha reso il Governo ancora più dominus della decretazione d’urgenza poiché, anche ricorrendo a maxiemendamenti e questione di fiducia, può ottenere l’approvazione parlamentare in tempi certi e, soprattutto, negoziandone i contenuti assai meno di quanto non accadesse un tempo. Il saggio prosegue osservando come anche il sindacato della Corte costituzionale sui casi straordinari di necessità e di urgenza, che pure potrebbe svolgere un ruolo primario nel contrastare l’abuso dei decreti perchè teso a controllarne i presupposti per l’adozione, rischia di ottenere risultati poco soddisfacenti, sia in virtù delle difficoltà che un tale sindacato porta con sé, sia in ragione della formula della “evidente mancanza” e delle tecniche di giudizio utilizzate dal giudice delle leggi nella sua giurisprudenza più recente. Anche in ragione di quanto rilevato, il saggio si conclude proponendo un diverso controllo da porsi in essere sulla legge di conversione, anche alla luce della prassi degli ultimi anni che vede la conversione dei decreti come occasione per legiferare sugli ambiti più diversi. Muovendo dai caratteri di tipicità di tale legge, si afferma che durante il procedimento di conversione il potere di emendamento deve essere limitato a puntuali modifiche del decreto-legge, al più potendosi considerare ammissibili quegli emendamenti che siano omogenei all’atto normativo primario del Governo. La valorizzazione della tipicità della legge di conversione ex art. 77 Cost. potrebbe, da un lato, restituire a quest’ultima la sua funzione tipica e, dall’altro, forse anche indurre le Camere a rivitalizzare il procedimento legislativo ordinario, la cui scarsa funzionalità è comunemente ritenuta essere una delle cause dell’abuso del decreto-legge.

The Decree-law between Abuses and Checks. Some Advisement Fifteen Years

after the Judgment n. 360/1996 of the Constitutional Court The essay moves from the observation about the importance that the judgment n. 360 of 1996 of the Constitutional Court had for the decree-law. However, that decision, although declaring the unconstitutionality of a particularly serious phenomenon as the recurrence, did not end the decree-law’s abuse, as governments still use routinely this source of law. Quite the opposite, the peremptory term of sixty days for the confirmation allows the Government, even proposing maxi-amendments and asking Parliament for a vote of confidence, to obtain the parliamentary approval in certain times and, most of all, it doesn’t need to negotiate the content as much as happened in the past. The essay goes on observing how even the control of the Constitutional Court on the cases of extraordinary need and urgency, which could play a major role in containing the decree-law’s abuse because aimed at controlling the conditions for its adoption, is likely to get poor results, either because of the difficulties that such a control carries, either because the formula of “clear lack” and the ruling techniques used by the Constitutional Court in its most recent decisions. These observations lead to propose a different control to be carried on the confirmation, also because of the practice that in recent years sees this necessary step as an opportunity to legislate on the most different fields. After having detected the characteristic features of the law with which the decree is confirmed, the essay states that during the confirmation the power of amendment should be limited to precise changes of the decree-law: at most, may be considered admissible those amendments that are homogeneous with the act of the government. The enhancement of the characteristic features of the confirmation under art. 77 of the Constitution may, on one hand, return this law to its typical function and, on the other hand, even induce Parliament to revitalize the ordinary legislative procedure, whose lack of functionality is commonly believed to be one of the causes of the decree-law’s abuse.

Fabio Merusi, La disciplina pubblica delle attività economiche nei 150 anni dell’unità d’Italia

Il saggio ripercorre i rapporti tra Stato italiano ed economia dal 1861 ad oggi, in particolare soffermandosi sugli strumenti giuridico-amministrativi utilizzati. L’Autore muove dall’analisi dei tre moduli organizzativi di diritto pubblico che a lungo hanno caratterizzato l’intervento statale – l’ente pubblico, l’azienda organo dello Stato o di un ente pubblico locale, l’ente pubblico holding gestore di partecipazioni in società per azioni – rilevando in particolare come la gestione delle partecipazioni statali non conforme alla logica della redditività imprenditoriale abbia causato un progressivo aumento del debito. Le modalità di intervento dello Stato nell’economia sono necessariamente cambiate con l’adesione dell’Italia alla Comunità economica europea, che si fonda su un principio, quello di concorrenza in un mercato unico, esattamente opposto a quello dell’economia mista: si sono rese necessarie, dunque, le privatizzazioni, pur se sotto diverse forme. Il saggio prosegue poi con l’analisi dell’intervento statale sotto il profilo funzionale, ovvero dei provvedimenti e delle procedure che sono state utilizzate (autorizzazioni, concessioni, sovvenzioni) e dei piani e programmi che questi atti condizionavano. Si evidenzia, poi, come anche in quest’ambito ha avuto un ruolo il diritto comunitario, determinando la creazione delle Autorità amministrative indipendenti e incidendo sulla interpretazione dell’art. 41 Cost. Il saggio, infine, ricostruisce il contenzioso tra la Banca d’Italia e il Tesoro in relazione al debito pubblico, solo apparentemente risoltosi con l’eliminazione dell’obbligo per la prima della sottoscrizione dei titoli che non avevano trovato collocazione. Anche in questo caso la Comunità europea, all’indomani dell’istituzione dell’Euro e della Banca centrale europea, ha svolto un ruolo affatto secondario: a fronte delle odierne difficoltà della moneta unica la BCE e le Autorità dell’Unione hanno indicato la necessità di una forte diminuzione, se non della eliminazione, del debito pubblico degli Stati membri. Il perseguimento a tappe forzate del pareggio di bilancio, così, torna al centro della politica economica italiana, così come lo era stato negli anni postunitari.

The Discipline of Public Economic Activities During 150 Years of Italian Unity

The essay chronicles the relationship between the Italian State and economy from 1861 until today, focusing in particular on the legal and administrative instruments used. The Author moves from the analysis of the three organizational forms of public law that have long characterized the state intervention (the public body, 206 the State or local government company, the holding public body, manager of shares in joint-stock companies) noting in particular how the management of state holdings – not consistent with the logic of business profitability – has caused a progressive increase of public debt. The state methods of economic intervention have therefore necessarily been changed with the Italian accession to the European Economic Community, based on the principle of the competition in the unified market, which is exactly opposite to that of the mixed economy. In particular, privatizations, albeit in different forms, became necessary. The essay proceeds then with an analysis of state intervention in functional terms, with particular reference to the measures and procedures that have been used (authorizations, concessions, grants) and to the plans and programs  influenced by those actions, noting how Community law played a role, determining the creation of independent administrative authorities and affecting the interpretation of art. 41 of the Constitution. Finally, the essay reconstructs the dispute between the Bank of Italy and the Treasury on the debt, only apparently resolved with the elimination of the duty of the first subscription of non placed stocks. Even in this case the European Community, after the institution of the Euro and of the European Central Bank, played a pivotal role: facing the present difficulties of the unified currency, the ECB and the EU authorities have imposed a sharp reduction, if not an elimination, of the Member States’ public debt. Therefore, the forced stages of the pursuing of a balanced budget are central again in the Italian economic policy, as they have been during the post-unification years.

Paolo Carnevale, Abrogare il già abrogato ovvero l’abrogazione al quadrato.

Considerazioni sul d.lgs. n. 212 del 2010 di abrogazione espressa cumulativa di leggi statali Il saggio si occupa di alcune questioni poste dall’adozione del decreto legislativo n. 212 del 2010 di abrogazione espressa di disposizioni legislative statali, che si colloca nella più ampia operazione taglia-leggi che ha caratterizzato le politiche di semplificazione normativa degli ultimi anni. L’Autore si sofferma innanzitutto su alcuni problemi di costituzionalità relativi al rispetto del termine per l’attuazione della delega e della decorrenza dell’effetto abrogativo, l’uno e l’altra per volontà della legge di delega intrecciati con quelli della c.d. clausola ghigliottina e sui quali ha inciso l’adozione del d.lgs. n. 66 del 2010. Vengono compiute, poi, alcune considerazioni critiche sulle ambiguità della delega all’abrogazione espressa, osservando in particolare che il complesso meccanismo posto in essere non sembra in grado di assolvere alla ratio dell’intera operazione, ovvero quella di dare certezza in relazione allo stato del diritto oggettivo. Dopo aver dato conto di altre questioni problematiche, quali l’abrogazione di disposizioni regolamentari e di quelle ricomprese nelle c.d. categorie escluse dalla clausola taglia-leggi, viene affrontata la questione della conformità della delega all’art. 76 Cost.: da un lato, si rileva che non vi è l’indicazione di principi e criteri direttivi, neppure ricavabili interpretando la legge di delega alla luce dei canoni permissivi al riguardo elaborati dalla giurisprudenza costituzionale; dall’altro, si evidenzia che la delega si presenta fortemente deficitaria anche sotto il profilo dell’“oggetto definito”, diretta com’è a disporre o dichiarare l’abrogazione di disposizioni prive fra loro di un minimo nesso materiale. L’Autore conclude osservando che una eventuale dichiarazione di incostituzionalità della legge di delega, priva di conseguenza pratiche perché il relativo decreto legislativo ha disposto l’abrogazione di disposizioni nella maggioranza dei casi già abrogate o insuscettibili di produrre effetti, sarebbe significativa perché riaffermerebbe il valore e l’importanza delle norme sulla normazione.

Repealing the Already Repealed, that is Squaring the Repeal.

Considerations on the Legislative Decree n. 212 of 2010 Expressly and Cumulatively Repealing State Laws The essay deals with some issues raised by the adoption of the legislative decree n. 212 of 2010, which, within the broader law-cutting operation that has characterized the policy of simplification of the recent years, expressly repealed some State laws. First of all, the Author focuses on some constitutional consistency problems, with regard to the compliance with the deadline for the implementation of the delegation and for the beginning of the repealing effect, both of them intertwined by the will of the law of delegation with those of the so-called guillotine-clause and affected by the adoption of the legislative decree n. 66 of 2010. Then, some critical considerations are dedicated to the ambiguities of the delegation to expressly repeal, noting in particular that the complex mechanism put in place does not seem able to fulfil the aim of the whole operation, that is to improve the certainty of the objective law. After having analysed other problematic issues, such as the repeal of the existing regulation norms and of the categories excluded by the law-cutting clause, the Author deals with the question of the consistency of the delegation with art. 76 of the Constitution: on the one hand, it is noted that there is not an indication of the principles and directive criteria, nor obtainable by interpreting the law in the light of the permissive canons drawn up by the Constitutional Court, on the other hand, it is highlighted that the delegation shows also a deficit with reference to the “defined object”, aiming to dispose or declare the repeal of norms without a minimum of homogeneity. The Author concludes by noting that an eventual declaration of unconstitutionality of the law of delegation, also if it would have no practical consequences because the relative legislative decree ordered the repeal of norms which in most cases were already repealed or without concrete effect, would be significant because it would reaffirm the value and importance of the norms on the normation.

Giampietro Ferri, La responsabilità civile dei magistrati nell’ordinamento italiano e le prospettive di riforma

Il saggio affronta il tema della responsabilità civile dei magistrati. Dopo l’esame della normativa contenuta negli artt. 54, 55 e 74 c.p.c., abrogata con il referendum del 1987, esso analizza la legge n. 117/1988 (comunemente nota come «legge Vassalli»), che disciplina attualmente la materia, prevedendo che il magistrato risponda non solo per dolo – come accadeva in passato – ma anche per colpa grave. La responsabilità è però indiretta perché il cittadino deve promuovere l’azione di risarcimento nei confronti dello Stato, il quale eserciterà successivamente l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato. Il saggio prosegue con un esame dei progetti di legge di modifica della legge n. 117/1988, evidenziando come gli spazi di intervento del legislatore siano molto limitati. Ciò, perché il principio di responsabilità del magistrato deve coniugarsi con quello della sua indipendenza, il quale esige – secondo la Corte costituzionale che l’azione di risarcimento del danno venga esercitata nei confronti dello Stato, che vi sia un controllo preliminare della non manifesta infondatezza della domanda e che al giudice sia garantita l’autonomia nell’interpretazione delle norme di diritto e nella valutazione dei fatti e delle prove. Il saggio si conclude osservando che, per una maggiore tutela del cittadino danneggiato, sarebbe opportuno che il giudizio sulla responsabilità del magistrato venisse affidato a un organo esterno alla magistratura, indipendente dal potere politico. La cosa più importante è comunque la prevenzione: occorre prevenire gli errori dei giudici curando costantemente la loro formazione professionale e controllando seriamente la loro professionalità.

The Civil Liability of Judges in the Italian Legal System and the Reforming Prospects

The present essay examines the liability of judges and public prosecutors. After analysing the provisions set out in the civil procedure code (articles 54, 55 and 74) as repealed by virtue of their submission to referendum in 1987, the
study focuses on the act n. 117 of 1988 (the so-called «legge Vassalli»). At the present time such act regulates the liability, by foreseeing the judge is liable for damages deriving not only from wilful misconduct – as it was foresaw by the previous regulation – but also from gross negligence. The liability, however, can be defined as indirect liability, since the individuals must take the State to Courts in order to claim for damages. As a consequence, it is up to the State to promote an issue against the judge in order to get a compensation. The essay then concentrates on the proposed bills for amending the act n. 117 of 1988 and highlights that the Parliament only has a short range of possibilities for promoting a new regulation of the subject. This is due to the necessity of accommodating the principle of liability of the judiciary to that of independence of the same branch. Indeed, according to Constitutional Court decisions, it is the State to be taken to Courts for claiming for damages; there is the necessity of a previous examination of the juridical grounds of the action; the judge must be granted the possibility of interpreting the laws and evaluating the matters of facts and their evidence. Finally, the essay suggests the trial on claims for damages shall be vested upon a body independent from both the legislative and the executive, as well as the judiciary branch. Moreover, it stresses on the necessity to prevent from judicial liability through a constant training of the members of the judiciary and through a serious evaluation of their conduct.

GiovanniMaria Flick, I diritti dei detenuti nella giurisprudenza costituzionale

Muovendo dalla constatazione del contrasto tra la situazione carceraria italiana e i principî personalistico e della pari dignità sociale, il saggio ripercorre gli interventi della Corte costituzionale in tema di funzione della pena e tutela della dignità e dei diritti fondamentali dei detenuti. La giurisprudenza costituzionale si è mossa su due versanti. Su un primo, pur riconoscendo alla pena caratteri anche di afflittività, difesa sociale e prevenzione generale, ha sottolineato come la dignità della persona esiga che la funzione della pena si legittimi attraverso la finalità rieducativa, perché altrimenti si strumentalizza l’individuo per fini generali di politica criminale. In quest’ottica, la rieducazione non può prescindere dal riconoscimento del carcere come formazione sociale coattiva ove i diritti inviolabili dell’individuo non sono annullati e il cui esercizio non può essere compresso più di quanto è reso inevitabile dallo stato di detenzione. Su un secondo, ha sancito, in linea con il principio della responsabilità penale personale, il diritto e il dovere del detenuto a un percorso di rieducazione personalizzato che, se implica flessibilità della pena e progressività nel trattamento rieducativo, risulta vulnerato da previsioni legislative che introducano automatismi nella sua applicazione. È soltanto attraverso il riconoscimento ad ogni detenuto di un percorso di rieducazione individualizzato e rispettoso della dignità e della umanità, per quanto reso oggi ancor più complesso dal sovraffollamento carcerario, che la pena è compatibile con i principî costituzionali. Il saggio si conclude rilevando come per la stabilità del sistema così delineato assuma centrale importanza il progressivo riconoscimento anche al detenuto della tutela giurisdizionale dei propri diritti, sia nella dimensione generale che nella dinamica individuale del trattamento. 

Rights of Detainees and Constitutional Case-Law

Moving from the observation of the contrast among Italian prisons, the personal principle and the principle of equal social dignity, the essay chronicles the interventions of the Constitutional Court concerning the function of punishment and the protection of the dignity and the fundamental rights of detainees. The Constitutional Court has moved on two fronts. On the first, even if recognizing to the punishment the features of afflictivity, social defence and general prevention, it has stressed how human dignity requires that the function of the punishment is legitimated by the rehabilitative purpose, otherwise exploiting the person for the general aims of criminal policy. From this perspective, the re-education can not be separated from the recognition of the imprisonment as a coercive social formation, where the inviolable rights can not be cancelled or compressed more than what is made inevitable by the detention. On the second, it has sanctioned (consistently with the principle of personal criminal liability) the right and duty of the prisoner to a path of personal rehabilitation that, on the one hand, implies the flexibility of punishment and the progressivity of the rehabilitation treatment but, on the other one, turns out hacked by legislative provisions that introduce automatisms in its application. It is only through the recognition to every prisoner of an individualized rehabilitative path, respectful of dignity and humanity, that the penalty is consistent with constitutional principles, even though today it is made even more complex by prison overcrowding. The essay concludes by pointing out that, for the stability of the outlined system, it is of central importance the progressive recognition to the detainee of an effective judicial protection of its rights, both in a general dimension and in the individual dynamics of treatment.